Si è concluso il cinque aprile una delle parti intermedie del Progetto G3P Reloaded, dove oltre al lavoro sulla creazione di una rete interforze tra le Forze dell’Ordine, si è discusso anche dell’importanza della mediazione interculturale come strumento per il contrasto ai crimini d’odio.
Numerose indagini e rapporti indicano come incidenti e crimini motivati da razzismo e xenofobia siano una realtà quotidiana nell’Unione europea. Al tempo stesso rilevano che tra il 75 e il 90% degli incidenti gravi non vengono segnalati alla polizia.
Per quanto riguarda l’Italia, a fronte di un elevato numero di casi riportati dai mezzi di comunicazione e dalle organizzazioni di tutela dei diritti fondamentali, nel 2015 solo 90 crimini chiaramente identificati come motivati da razzismo sono stati registrati dalla polizia, oltre a 279 casi di crimini d’odio “non specificati”. Secondo ENAR – European Network Against Racism (2014), inoltre, tra il 40 e il 60% dei casi identificati come crimini d’odio non sono stati investigati a fondo e appropriatamente.
I crimini d’odio basati su razzismo e xenofobia paiono essere ancora sottovalutati. È necessaria una comprensione più diffusa ed approfondita sulle cause che possono generarli, quali la diffusione di stereotipi e pregiudizi (che sono anche le cause che possono ostacolarne il rilevamento), la crescente accettazione sociale di atteggiamenti e comportamenti discriminatori, (ivi incluse forme di razzismo istituzionale), il linguaggio d’odio nel discorso pubblico e nei media e l’aggravarsi di tensioni sociali tra le fasce più vulnerabili della popolazione.
Questi, tra i motivi che hanno spinto i mediatori delle associazioni GOMIV e AMMI a partecipare ad un lavoro di costruzione di rete per essere in prima linea su quella che è la comprensione del fenomeno e la lotta ai pregiudizi.